«The Killing Game». La Cia e la cocaina

Gery Webb
Gery Webb

Gary Webb è stato trovato senza vita nella sua casa di Sacramento venerdì 10 dicembre 2004. Suicida a quarantanove anni, a quanto hanno subito stabilito le autorità, coroner e polizia. Ma chi era Gary Webb? Era un giornalista investigativo del Sacramento news and review, due volte vincitore del Premio Pulitzer, noto per le sue inchieste spericolate, che gli valsero le ostilità non soltanto del mondo della politica, di cui denunciava i traffici, ma anche dei giornali «mainstream», come il Washington Post, il New York Times e il Los Angeles Times.

Suicida con due colpi di pistola?

Il reporter californiano è stato ritrovato morto con due colpi di pistola in corpo: difficile sparare a se stessi più di un colpo, perciò una pallottola era di troppo e – secondo qualcuno – era difficile poter parlare di suicidio: tuttavia, la famiglia e i suoi amici più stretti non hanno dubbi sulle cause della morte.
Il nome di Gary Webb era diventato famoso grazie ad una serie di inchieste che Webb avevba condotto nel 1996 per il San José Mercury News: tema, i rapporti tra la Cia, i «contras» nicaraguensi e il traffico di cocaina nell’area di Los Angeles. «L’alleanza oscura», questo era il nome dell’inchiesta, è quella tra il servizio segreto e i narcotrafficanti, e grazie alla quale l’intelligence statunitense era stata in grado di finanziare gli squadroni della morte in Nicaragua. Due anni dopo, le inchieste, ampliate, confluirono in un libro con lo stesso titolo.
Siamo negli anni ottanta, amministrazione Reagan. L’allora presidente degli Stati uniti definiva i «contras» in Nicaragua «combattenti per la libertà», come i padri fondatori degli Stati uniti. Non è ancora tempo di «guerre infinite» e «libertà durature»: la Costituzione obbliga il presidente ad informare il Congresso circa qualunque operazione militare svolta dagli Stati uniti fuori dei confini nazionali. È il Congresso, inoltre, che ha il potere di approvare o non approvare la copertura finanziaria. E il Cogresso non è favorevole alla guerra «per procura» in Nicaragua. Come fare? I «contras» rappresentano la soluzione: qualcuno che porta avanti la guerra «autonomamente», per di più una guerra «di liberazione». A questo punto è sufficiente allestire l’addestramento degli squadroni della morte. E soprattutto rifornirli di armi.
Gli articoli di Webb ricostruiscono il legame tra Cia e narcotraffico, legandolo alla spaventosa diffusione del crack, a Los Angeles, negli anni ottanta. Innanzi tutto, Webb dimostra come alcuni dei narcotrafficanti responsabili dell’epidemia di crack in California figurassero anche tra i fondatori dei «contras». In particolare, si sofferma sulla figura di Oscar Danilo Blandon, un trafficante di cocaina e informatore dell’Fbi, che aveva testimoniato: «Qualunque cosa portassimo a Los Angeles, i profitti andavano alla rivoluzione dei ‘contras», aggiungendo che il colonnello Enrique Bermudez, che aveva guidato i paramilitari contro il governo sandinista, era al corrente che i finanziamenti che gli arrivavano provenivano dal traffico di cocaina. La droga importata da Blandon veniva poi immessa sul mercato dalla «Freeway» di Ricky Donnell Ross, che pensava a rifornire tutte le gangs della città.

I grandi giornali contro Gari Webb

L’inchiesta di Webb suscitò grande interesse tra le comunità afroamericane di Los Angeles, particolarmente investite dal fenomeno del crack, che aveva trasformato una droga da ricchi in un «prodotto» alla portata di tutti, anche dei poveri, con conseguenze devastanti. Ne seguirono dibattiti, proteste di piazza, una richiesta di investigazione governativa. E un grande ostracismo da parte dei principali quotidiani nei confronti di Gary Webb.
Anche se, a dire il vero, Webb non fu l’unico a subire questa sorte per aver tentato di parlare delle connessioni tra narcotraffico e guerra, in un quadro di guerra globale che dall’amministrazione Reagan passa per Bush padre [all’epoca vicepresidente] e che si evolverà, ai nostri giorni, nella guerra preventiva di Bush figlio.
Robert Parry e Brian Barger provarono a parlare della connessione tra «contras» e narcotraffico già nell’85. Due anni più tardi Time magazine bloccò un articolo di Laurence Zuckermann che riportava prove evidenti di questa connessione, e in una conversazione privata, un caporedattore della rivista disse a Zuckermann: «Se la storia fosse stata sui sandinisti e la droga, non avresti avuto alcun problema, a fartela pubblicare». Infine, nell’89, quando il senatore Kerry rese noto un rapporto che condannava la complicità del governo Usa con i «contras» legati al narcotraffico, fu accusato dai media di essere un fanatico della teoria del complotto.
Per questa sua famosissima inchiesta, che aveva alcuni punti deboli ai quali si appigliò la stampa «per bene», Webb fu messo all’indice e non riuscì più a trovare un impiego stabile in un giornale. La persecuzione dei grandi media nei suoi confronti arrivò a tal punto che il difensore civico del Washington Post, la figura che ha il compito di tutelare i diritti dei lettori, criticò la direzione del giornale per aver speso più risorse nella caccia alle lacune delle inchieste di Webb di quante non ne fossero state investite per verificare se Webb dicesse il vero.

«La verità non rende liberi»

La sua situazione economica era diventata, negli anni, insostenibile, e la sua casa di Sacramento era appena stata venduta perché Webb non poteva permettersi di pagare il mutuo. Prima di suicidarsi, Webb ha lasciato sulla porta un biglietto per gli operai della ditta di traslochi venuti a portare via i suoi mobili. Era il giorno del trasloco finale.
Al suo funerale, affollato di colleghi e amici, tra gli oratori funebri c’era anche Lok Lau, ex agente dell’Fbi e amico di Webb. «La verità non ti rende libero, ma solo disoccupato», ha detto davanti alle trecento persone arrivate a rendere omaggio a un giornalista indipendente nell’epoca degli «embedded».

[da Carta n°03/2005]

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