Il teatro sradicato. Muta Imago presenta Displace

Lo spettro della fine aleggia sul teatro italiano. Sembra un commento apocalittico e invece è solo una constatazione di un convergere di poetiche diverse su un tema costante: il crollo del presente. La nuova scena, dal Teatro Sotterraneo ai Santasangre fino a Babilonia Teatri sembra affascinata da questo crollo e allo stesso tempo impossibilitata a distogliere le sguardo. Ora tocca ai Muta Imago, da circa un anno alle prese con il progetto «Displace» che ha debuttato nella sua seconda tappa a novembre al Teatro Vascello per il Romaeuropa festival. E il fatto che tutti questi nomi appartengano alla generazione dei trenta-quarantenni, quella che si è affacciata alla vita adulta mentre ogni cosa che sembrava inamovibile – istituzioni, realzioni umane, sistemi economici – sembrano sfarinarsi al primo tocco, non può certo essere un caso.
«Displace» si apre con una visione impattante, di crollo, accompagnata dal canto del soprano Ilaria Gargani, e con un’altra visione di impatto si chiude: il pavimento della scena che, sollevandosi e ripiegandosi, si trasforma nell’ipotetica prua di un’immensa nave pronta a salpare allontanandosi dal disastro. Nel centro una coreografia di luci e polvere agita da quattro performer – Anna Basti, Chiara Caimmi, Valia La Rocca, Cristina Rocchetti – che si muovono per una scena grigia e scura, una pesaggio lunare e allo stesso tempo antico, che sembra uscita dall’immaginario fantascentifico di George Lucas. Lo spettacolo è carico di momenti che chiedono emozione e forse, dopo la scena del crollo, quello che ci riesce maggiormente è quando una scacchiera di luce si disegna tra la polvere e le “rovine” (titolo di questa seconda tappa del progetto) e su di essa i quattro personaggi senza storia si muovono in modo geometrico ma allo stesso tempo privo di un senso pratico, una scena carica di un’eco beckettiana senza però ricalcare i toni del grande drammaturgo.
Mura e navi non sono elementi causali: la regista Claudia Sorace e il drammaturgo Riccardo Fazi si sono ispirati alle «Troiane» di Euripide, operando una sovrapposizione di temi e referenze ormai classico nella scena teatrale. Da un lato il riferimento ad un archetipo teatrale, traslato nell’oggi da un titolo inglese (e dunque contemporaneo?) che dà il senso dell’operazione – “displace” è inteso come sradicamento; dall’altro lato la sua dissoluzione in una serie di visioni indipendenti. Anche gli elementi che danno forma allo spettacolo, dalle luci al tappeto sonoro, sembrano appartenere a una serie di stilemi che – si passi l’ossimoro – si stanno trasformando in una sorta di manierismo d’avanguardia. Soprattutto per quanto riguarda la sperimentazione sonora (che, a scanso d’equivoci, in «Dipslace» è di alto livello e solida realizzazione) si comincia ad avvertire la strana sensazione, da qualche anno a questa parte, di entrare e uscire dallo stesso spettacolo.
Nonostante ciò, «Displace» segna una decisa maturazione tecnica della compagnia romana, che ha realizzato delle visioni di respiro assai più ampio praticamente senza imperfezioni, riuscendo nell’intento di disegnare la cappa plumbea e la sensazione di soffocamento che permea la nostra epoca. E sarebbe incorretto dire che, in questa maturazione, non si rintraccia la mano dei Muta Imago: certi utilizzi della luce, come anche l’ossessione per la polvere (“la polvere che ci avvolge tutti e che non rende chiaro nulla”, scrivono sul programma, e che invece paradossalmente è una metafora chiarissima, cristallina) sono tutti elementi che rimandano ai loro lavori precedenti. Con la sostanziale differenza della perdità di una certa artigianalità che rendeva le visioni dei loro spettacoli forse più posticce, ma proprio per questo più umane, fresche e credibili. La “volontà di potenza” della visione, in questi anni di grandi retoriche dell’immagine, pur ricercata con l’onestà e l’intelligenza dei Muta Imago, sembra negare ogni possibilità di poesia e in questo modo, paradossalmente, attutire il dramma.

[da Paese Sera]

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