Gli “illegali” del Teatro Valle

Teatro-valle facciataParagonando il Teatro della Pergola all’occupazione del Teatro Valle Matteo Renzi ha perso un’occasione per stare zitto. Perché ovviamente le due esperienze non sono equiparabili, non afferiscono agli stessi ambiti, non hanno nemmeno una vocazione comune. Anzi, se è possibile Renzi rischia persino di ottenere l’opposto di ciò che vorrebbe: perché nonostante la Pergola faccia il suo lavoro in modo più che dignitoso, quel teatro rappresenta proprio il modello da superare anche secondo chi non sostiene il Valle ma ha comunque a cuore l’ingresso del nostro paese nel dibattito culturale internazionale.

Nel frattempo la Prefettura si è pronunciata negativamente in merito alla Fondazione Valle Bene Comune. Il che era più che prevedibile, visto che si tratta di un organo tecnico e non politico. Com’è ovvio questa notizia ha scatenato il solito putiferio dei pro e dei contro l’occupazione più famosa d’Italia, evitando così per l’ennesima volta di puntare il ragionamento verso questioni più importanti.

Negli ultimi mesi si sono susseguiti attacchi all’indirizzo del Valle Occupato che insistevano sulla sua illegalità. Il tema non è peregrino, salvo che non venga posto nel modo lapalissiano adottato dalle pagine del Corriere della Sera, con una intervista alla presidente della Commissione cultura di Roma Michela di Biase: l’occupazione è illegale dunque non può esistere. Ovviamente firme come Pierluigi Battista sanno che l’infrazione di una norma, quando compiuta alla luce del sole, collettivamente e senza tornaconto personale acquisisce i caratteri di una protesta politica. E sanno anche che la giurisprudenza è qualcosa di più fluido di quanto non si pretenda a volte, in grado di mutare grazie a dei precedenti – che è quanto chi si oppone all’esperienza Valle vorrebbe evitare.

Dicevo che il tema della legalità non è peregrino. È una critica che è stata mossa al Valle anche da ambienti non ideologicamente contrapposti a questa esperienza, soprattutto tra chi lavora nel settore teatrale. La sostanza in questo caso sarebbe: noi dobbiamo confrontarci con regolamenti complessi e onerosi che voi non dovete sostenere. Il tema della concorrenza sleale. Il Valle, in realtà, condivide una condizione simile a molte altre realtà occupate in Italia per cui questa problematica non viene sollevata; ma è chiaro che, da qualunque parte lo si prenda, il più antico teatro di Roma per portata e storia assurge sempre a valore simbolico.

Tuttavia c’è un aspetto che viene sistematicamente tralasciato, e cioè che gli occupanti non intendono perpetrare lo stato di occupazione ad libitum. Con la presentazione della Fondazione hanno chiesto un riconoscimento che, tradotto sul piano pratico, significa uscire dallo stato di occupazione. Di più: il Valle ha chiesto un incontro con le istituzioni per discutere questa transizione di status giuridico. Che è stato fino a ora disatteso.

Cerchiamo di valutare la situazione fuori dagli schemi contrapposti. Si può essere d’accordo o meno con il modello proposto dal Valle, o si può essere anche d’accordo su alcuni principi e su altri no. È innegabile, però, che è anche dalla temperie culturale e politica inaugurata con questa esperienza che si sono consolidate delle idee su come ripensare l’intervento pubblico nella cultura. Una tra tutte: l’indicazione del ministro Bray sul fatto che i direttori dei nuovi teatri nazionali non potranno contemporaneamente ricoprire il ruolo di artista prodotto. Un principio che il Valle aveva chiesto fin dall’inizio dell’occupazione – come lo chiedevano anche tanti operatori – e che oggi, si può dire, è patrimonio comune. (Anche se occorre vedere che fine farà la riforma con la caduta del governo Letta, elemento che mette drammaticamente in evidenza l’estrema fragilità della via istituzionale al ripensamento del sistema cultura).

Ci troviamo di fronte a un momento particolarmente interessante: quanto elaborato all’interno del Valle, ad esempio il modo di vivere lo spazio teatrale come spazio cittadino aperto, potrebbe finalmente divenire materia di riflessione in un tavolo istituzionale. Le soluzioni elaborate in un processo lungo e articolato potrebbero divenire oggetto di una discussione più generale, in un momento in cui il settore teatrale ha un bisogno stringente di una rigenerazione che viene invocata anche da chi vive dall’interno le istituzioni culturali di questo Paese. E questo non solo potrebbe portare ad altre “inaspettate” convergenze sui principi, com’è stato nel caso della riforma Bray. Ma potrebbe anche sciogliere definitivamente il nodo della “legalità” del Teatro Valle indirizzando finalmente il dibattito pubblico sul tema che davvero dovrebbe interessare chi ama il teatro: un nuovo sistema culturale per l’Italia, più aperto, più contaminato, più coinvolgente, in grado di rispondere agli interrogativi di un panorama artistico radicalmente mutato, fatto di energie numericamente maggiori di un tempo e di un’etica del lavoro completamente riveduta e corretta alla luce della crisi.

[da Paese Sera]

2 pensieri su “Gli “illegali” del Teatro Valle

Lascia un commento