L’origine dell’utopia secondo Tom Stoppard

A cosa serve la letteratura se non a produrre uno spirito della nazione in cui riconoscersi e di cui andare fieri? Non una letteratura che parli in modo ideologico e scontato di problemi sociali, ma un’arte che incarni davvero lo spirito del popolo che la esprime. Ma una letteratura del genere è possibile in un paese non libero? E se non lo è, a cosa si riduce se non ad un mero intrattenimento per le classi che possono permetterselo?
A snocciolare questi interrogativi uno appresso all’altro è il critico letterario Belinskij, amico (indigente) e frequentatore dell’agiata casa Bakunin, o meglio del giovane Michail, futuro rivoluzionario. È attorno a queste due figure che si svolge la prima parte della trilogia di Tom Stoppard, «Coast of Utopia», portata in scena da Marco Tullio Giordana al Teatro Argentina di Roma. Un testo fiume – di recente pubblicato da Sellerio – che ripercorre gli anni del passaggio dall’idealismo al furore rivoluzionario che avrebbe incendiato l’Europa da lì a breve, quando la filosofia e la letteratura erano un esercizio rischioso ma proprio per questo gravido di senso, ma anche una vertigine senza fine di discorsi e astrazioni in cui era sempre dietro l’angolo la voluttà inutile di perdervisi dentro. Gli entusiasmi del giovane Bakunin, sempre pronto ad entusiasmarsi per la scoperta di un nuovo filosofo tedesco ripudiando quello che amava fino al giorno prima, balzando da Schelling a Kant, da Fichte a Hegel, tratteggiano – pur in forma fortemente ironica – un mondo dove l’ansia di conoscenza era pane quotidiano, forse persino più del pane. Mentre Belinskij, figura di intellettuale sinceramente convinto che l’arte possa riscattare l’uomo dalle miserie che la Storia gli ha messo attorno, ci ricorda una concezione e un ruolo del mondo della conoscenza (sia essa artistica che scientifica) che forse è ancora, ben nascosta, alla base della nostra formazione, ma che ha drasticamente divorziato dalla nostra quotidianità. Per questo, quando il critico afferma che l’arte, se non esprime davvero uno spirito che trascende l’uomo e lo stesso autore, non è altro che intrattenimento, sembra parlare direttamente (e drammaticamente) alla nostra età contemporanea. E lo fa dal pulpito di un’esperienza di vita singolare, che sacrifica il benessere fisico all’integrità del pensiero; il pulpito cioè di un uomo che preferisce morire nella Russia zarista oppressa dalla censura, dove tuttavia le parole degli artisti contano e parecchio, piuttosto che fuggire nella Francia libera dove ogni discorso culturale è ridotto a chiacchiericcio. È questo episodio della vita di Belinskij, per altro, ad aver ispirato la trilogia di Stoppard, stando a quanto racconta lo stesso autore cecoslovacco naturalizzato inglese, che conosce nel dettaglio un’altra realtà di dittatura, quella del suo paese e di autori come Václav Havel, altra situazione dove le parole avevano un peso “fisico” e non solo “metafisico”. D’altronde anche l’entusiasmo al limite della guasconeria con cui è ritratto il giovane Bakunin, che a tratti ricorda certi antieroi dell’immaginario dostoevskijano, ci parla per antinomia di un presente dove ogni entusiasmo è ridotto alla materia. In questo senso, la trilogia di «Coast of Utopia» – le cui parti si intitolano sintomaticamente “Viaggio”, “Naufragio” e “Salvataggio” – si candida ad essere un’esplorazione approfondita e illuminante di quel percorso che dall’idealismo è passato al socialismo e ha deviato verso il nichilismo che tanto ha influenzato e nel profondo il corso della storia degli ultimi due secoli. In questa mappa i quattro punti cardinali sono, oltre a Bakunik e a Belinskij, Aleksandr Herzen e Ivan Turgenev.

Tom Stoppard è famoso presso il pubblico italiano per la sua pièce surreale «Rosencrantz e Guildernstern sono morti», ma la sua vasta produzione da noi è per lo più sconosciuta. La «Sponda dell’Utopia» viene presentato per la prima volta nell’Europa continentale in questa sua versione italiana dopo il successo in Gran Bretagna, e non è una cosa scontata. Si tratta di un testo che prevede 31 attori, ottanta cambi scena e 68 persone impegnate nella realizzazione. Uno sforzo non da poco per una realtà asfittica come quella italiana, che è stato realizzato grazie alla caparbietà di un’attrice che si è trasformata in produttrice, Michela Cescon, che ha trovato il sostegno dei Teatri Stabili di Roma e Torino oltre che alla collaborazione del Romaeuropa Festival.
La regia è stata affidata a Marco Tullio Giordana, regista di cinema alla sua terza prova sulle assi del palcoscenico, che nell’utopia di Stoppard ha cercato una sorta di “meglio gioventù” ottocentesca ed europea (con esiti finora migliori, non fosse altro per la scrittura di Stoppard). Giordana ha scelto di dare corpo all’utopia di Stoppard in una cornice astratta, quasi metafisica, fatta di teli e pannelli che scorrono andando a creare un diaframma tra una scena e l’altra, con pochissimi oggetti ma ricorrendo a minimali costumi d’epoca per collocare nel tempo l’intreccio e l’azione. Una scelta tutta orientata a non appesantire il lavoro con una regia calligrafica, che avrebbe rischiato di distogliere sguardo e attenzione da un testo corposo e complesso. Un lavoro in levare condivisibile, che si riscontra anche nei registri della recitazione, e che a volte rischia di essere persino eccessivo, non fosse per l’interpretazione convincente di molti degli interpreti, tra cui spicca quella di Corrado Invernizzi nel ruolo di Belinskij e l’incisività di molti altri tra cui Luigi Diberti (Bakunin padre), Luca Lazzareschi (Herzen), Fabrizio Parenti (Ogarev), Irene Petris (Varenka), Paola D’Arienzo (Tatiana).

Da martedì 10 a domenica 15 aprile: primo episodio, “Viaggio”.
Da martedì 17 a domenica 22 aprile: secondo episodio, “Naufragio”.
Da martedì 24 a domenica 29 aprile: terzi episodio, “Salvataggio”.

[anche su minimaetmoralia.it]

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