L’irrompere della materia viva. «Bestiale improvviso» dei Santasangre

L’ultimo lavoro del collettivo romano Santasangre, «Bestiale improvviso_sovrapposizione di stato» ha debuttato ieri, aprendo la stagione 2012 del Teatro Palladium dove sarà in scena fino a domenica 29 gennaio. Un titolo programmatico, poiché quest’ultima tappa del percorso intrapreso dalla compagnia nel 2009 è proprio la sovrapposizione tra le precedenti tappe, «Framerate 0» e «Bestiale improvviso», incentrati in modo radicalmente diverso sul mutamento di stato, il primo attraverso l’istallazione di un’enorme lastra di ghiaccio, il secondo costruito attorno al linguaggio coreografico. Ma, come dice il poeta Tonino Guerra, uno più uno non dà sempre due, a volte dà un “uno più grosso”, come quando le gocce d’acqua si uniscono per formarne una più grande. Un’alchimia che è riuscita ai Santasangre – che preferiscono però richiamarsi alla meccanica quantistica, dove lo stato di un sistema è definito dalla sovrapposizione di tutti i suoi stati possibili. Perché quest’ultima opera è riuscita a sintetizzare la potenza delle immagini dei primi due lavori risolvendone le parti che apparivano irrisolte.
La visione, dall’alto della galleria perché la platea è chiusa al pubblico, si apre con un taglio fortemente istallativo. Non c’è altro in scena se non una grande lastra di ghiaccio attaccata a quattro catene, che si fa schermo di una luce livida che la fa sembrare materia incandescente, mentre un complesso tappeto sonoro si stratifica sempre più. Proprio quando il dubbio di una deriva astratta comincia a farsi strada, dei corpi affiorano dal buio, da dietro lo schermo, per ribaltare la situazione. Tre frammenti di corpi lambiti da una luce liquida, che li fa sembrare immersi in un acquario colmo di una sostanza fluida del tutto simile a quella materia ghiacciata, se non fosse per il differente stato (solido) di quest’ultima. Le tre figure pian piano acquistano definizione, e anche il suono cambia di segno, trova una sua armonia cupa che immerge la scena in un’atmosfera solenne. È inutile domandarsi a cosa si riferiscano le tre figure femminili, erinni di un paesaggio astratto e digitale, che sembrano incarnare in chiave del tutto autonoma la solitudine soprannaturale di certe visioni beckettiane. Certo hanno a che vedere con il “bestiale” evocato dal titolo, perché sono materia biologica che irrompe in un quadro astratto, armonia organica che si lancia in una coreografia di grande impatto, in grado di legare assieme i frammenti disorganici dell’ambiente circostante. Un ambiente che muta forma, profondità e prospettiva grazie alle proiezioni degli elaborati video, mentre la coreografia delle tre figure prosegue in potente crescendo che coinvolge anche il suono, e che culminerà nell’accendersi della lastra di ghiaccio colta nel suo sciogliersi.

A dispetto del linguaggio volutamente “scientista” con cui i Santasangre presentano i propri lavori, le parti più emozionanti e suggestive di questa versione finale di «Bestiale improvviso» riguardano proprio l’irrompere dell’umano nella realtà ipotetica realizzata dalla compagnia romana con tanta perizia tecnica. È la realtà dei corpi e l’articolazione dei loro movimenti l’ingrediente in grado di compattare assieme tutti gli elementi dello spettacolo. I corpi colti non tanto come materiale biologico in contrapposizione a ciò che biologico non è, quanto come insieme organico in grado di sprigionare significato. Certamente l’intelligenza artistica di Cristina Rizzo (forse la migliore danzatrice della sua generazione assieme ad Alessandra Cristiani) che, oltre a dare vita alla performance in scena assieme a Roberta Zanardo e Teodora Castellucci, ha anche partecipato all’ideazione della coreografia, ha aggiunto degli elementi importanti al percorso di ricerca dei Santasangre. Ma al di là di questo, l’orchestrazione dei video curati da Luca Brinchi, Diana Arbib e Pasquale Tricoci, e del suono elaborato da Dario Salvagnini, sembra aver trovato in questo lavoro del collettivo una sintesi senza fronzoli, che pesca a piene mani dalle ossessioni da sempre presenti nella ricerca dei Santasangre (la materia come astrazione a confronto con la materia concreta, la mutazione e l’illusione percettiva, un ambiente restrittivo fatto di geometrie nette e catene), ma evitandone una deriva estetizzante.

[da Paese Sera]

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