Teatro di Roma, Ninni Cutaia nuovo direttore fino al 2018

ninni-cutaia“La nomina di Ninni Cutaia a direttore del Teatro di Roma conferisce professionalità e autorevolezza a una delle istituzioni culturali più importanti della città”. Con questa nota il sindaco Ignazio Marino ha commentato la nomina dei nuovi vertici dello Stabile capitolino, attesa da diverse settimane. E si può concordare pienamente con lui. Il profilo di Cutaia è certamente in linea con le professionalità richieste dalla riforma voluta da Ministro Bray, che era presente oggi alla conferenza stampa di presentazione del nuovo direttore. Quel decreto Valore Cultura che prevede la trasformazione dell’oramai vetusto sistema degli stabili, con l’istituzione di quattro teatri nazionali (ma c’è chi dice che il numero aumenterà), di cui Roma dovrebbe essere una delle piazze “naturali”. La scelta di escludere la figura dell’artista-direttore, impedendo a chi ricoprirà la carica di produrre e mettere in scena i suoi spettacoli, va nella direzione di una ristrutturazione profonda delle stabilità, che dovrebbero essere traghettate da un ruolo esclusivo di centralità e vetrina, a uno più al passo coi tempi di motore propulsivo di progetti artistici che interessino l’intero territorio. La figura di Cutaia, che vanta una lunga storia dirigenziale nel mondo del teatro pubblico (Il Mercadante di Napoli, l’Ente Teatrale Italiano e, fino a ieri, il Ministero dei Beni Culturali) sembra calarsi alla perfezione all’interno di questo progetto di ristrutturazione.

Bisogna aggiungere però che la nomina di Cutaia, al di là del prestigio istituzionale e delle considerazioni di tipo amministrativo, riscuote apprezzamento in modo trasversale. Le sue passate esperienze, soprattutto all’Eti, dove si è fatto promotore di progetti attenti alla qualità artistica, alle nuove generazioni e ai nuovi linguaggi, alla difesa e promozione della danza (vera cenerentola del teatro italiano) e una serie di interventi volti ad animare e valorizzare le periferie culturali del Paese, ne fanno una figura di riferimento anche per i settori del contemporaneo e dell’innovazione – quelle energie artistiche che da tempo scalpitano per un rinnovamento del teatro italiano e per un’apertura agli stimoli europei.

C’è quindi molto di che sperare. Anche perché questa nomina, coadiuvata da una presidenza di prestigio culturale come quella di Marino Sinibaldi, cade in un momento in cui Roma è praticamente all’anno zero dal punto di vista teatrale. Lo stabile è in questo momento privato del Teatro India, chiuso per lavori. Il Palladium, altro polo importante del contemporaneo, ha cancellato la stagione. L’Eliseo naviga in cattivissime acque. In questo quadro l’Argentina di Cutaia resta l’unico elemento solido in una geografia teatrale che va totalmente reinventata. E dunque si candida ad esserne il primo propulsore. Non a caso Cutaia, in conferenza stampa, ha rassicurato sui tempi dei lavori a India, che sarà restituito alla città dopo l’estate, e che sarà nella progettazione del neo-direttore una sala paritaria dell’Argentina, e non un luogo cadetto e secondario. Allo stesso modo Cutaia ha voluto da subito sottolineare la volontà di apertura alle energie del territorio, citando anche l’effervescenza di piccoli teatri privati, in una salutare ottica di apertura piuttosto inedita per la storia dello stabile romano. E, cosa davvero preziosa, il neo-direttore ha parlato di un’apertura del cartellone alla danza contemporanea, che finalmente abbatterà quello steccato di genere imposto dai regolamenti ministeriali che, nella vita reale delle pratiche teatrali, non ha più senso da almeno quarant’anni.

Ottimi segnali davvero, perché Roma è una città artisticamente viva, che esprime anche quantitativamente una varietà impressionante e per certi versi unica nel panorama nazionale. Quello che è sempre mancato è una spinta delle istituzioni culturali cittadine, spesso arroccate su se stesse, che mettesse a regime tutta questa potenzialità, proiettando al contempo la Capitale in una dimensione più europea. Chissà che lo scossone di Bray e il pensiero in apertura di Cutaia e Sinibaldi non riescano a innescare quel cambiamento che Roma aspetta da almeno vent’anni e da un paio di generazioni teatrali.

*gli interventi alla conferenza stampa sono stati raccolti da Attilio Scarpellini

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[da Paese Sera]

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