[Questo articolo è stato realizzato per il giornale del Théâtre de la Ville, per raccontare le dinamiche, le risorse e le difficoltà della scena teatrale italiana degli ultimi anni al pubblico francese].
Massimiliano Civica, uno dei migliori registi della nuova generazione e già direttore del Teatro della Tosse di Genova, alcuni anni fa commentò l’effervescenza della nuova scena romana sottolineando che chi lavora in condizioni di difficoltà, senza supporto istituzionale e ai margini delle grandi piazze del teatro, quasi per forza sviluppa un linguaggio ruvido e forte, prepotentemente necessario. Ma, con lungimiranza, chiosava poi che questa dialettica può essere positiva per cinque, al massimo per dieci anni: dopodiché, di povertà si muore.
La sintesi proposta da Civica coglie il senso del fare teatro nel XXI secolo in Italia, e può tranquillamente essere estesa all’intera scena nazionale emergente. Ovviamente, per comprenderla, bisogna calarla nella realtà di un Paese in genere diffidente verso il nuovo e le nuove generazioni. L’élite teatrale, come per molti altri campi della cultura, è saldamente e in mano alle generazioni più vecchie, ogni tanto trova spazio qualche rarissima eccezione come nel caso di Mario Martone. In generale, chi è riuscito a imporre al grande pubblico il proprio teatro e la propria poetica lo ha fatto “contro” e “fuori” dalle principali istituzioni teatrali, come Ascanio Celestini o Emma Dante, e anche quelli che hanno trovato un supporto produttivo nei principali teatri italiani, come Pippo Delbono e Antonio Latella, sono arrivati a questo soprattutto grazie a una intensa frequentazione della scena estera, che ha fornito loro la legittimità che a volte in Italia faticavano a trovare.