Il buffone più pericoloso di Spagna si presenta con un vestito da Blues Brothers. E comincia uno spettacolo che non risparmia nessuno. Tanto meno chi lo applaude. «Il golf è molto praticato tra i governanti e i ricchi dirigenti delle multinazionali – dice posizionando una pallina minacciosamente puntata verso il pubblico – per questo lo odio. Eppure, quando ho chiesto, in questo posto autogestito, una mazza per lo spettacolo, l’hanno trovata subito. Perciò tra voi c’è uno stronzo a cui piace il golf. Ora tirerò la pallina per prenderlo in fronte. Ma come farai, direte voi, a centrare proprio lui? È più facile che tu colpisca qualcun altro. Ebbene: chiamo questo ‘danni collaterali’».
Leo Bassi viene da una famiglia di circensi, ma è convinto che oggi il ruolo del clown debba essere ben altro. È tornato a Roma dopo molti anni, proponendo «Vendetta» in italiano allo Strike, dopo una settimana di seminari presso l’associazione Rialto Santambrogio.
Come mai questo titolo, Vendetta?
Da piccolo sono cresciuto con l’idea che il futuro sarebbe stato migliore del presente, invece arriviamo all’oggi e la realtà è tutt’altra. Allora ho avuto un moto di rabbia, una rabbia da da buffone, che non si articola razionalmente, ma che va contro, è iconoclasta. È anche un gioco, in qualche modo, che propongo al pubblico, esprimendo delle posizioni politiche… anche perché c’è in giro, specie in televisione, una comicità conservatrice, che fa ridere senza far pensare. Penso che un artista non possa vivere come uno struzzo con la testa sotto la sabbia. E quindi mescolo ai miei spettacoli messaggi, opinioni…
È questo il potere dell’ironia?
Esattamente. In tv c’è molta satira, ma anche la satira, se la si vede ogni giorno, diventa una cosa normale. Perciò la sua forza deve essere altrove. L’ultima volta che sono stato in Italia c’era già Striscia la notizia, e dopo tanti anni c’è ancora! Ogni sera fa della satira, ma cosa fa concretamente? Niente, si è istituzionalizzata. E poi viene trasmessa su una rete di Berlusconi, quindi che cazzo di ironia può fare? Vieni pagato dalla persona che è il peggiore esempio di potere e manipolazione mediatica!
Il mio spettacolo ha anche un altro messaggio: non è televisivo. Non avrebbe senso in tv: come si fa a prendere una lattina di Coca-Cola, passarla in lavatrice e poi bucarla schizzando il pubblico, se il pubblico è dall’altra parte dello schermo? E come si fa a far pensare davvero in tv, dove gli spettacoli vengono sponsorizzati?
Non sei completamente libero, il tuo lavoro esiste per vendere delle cose, quella non è ironia ma ipocrisia.Per questo sono contento di aver fatto lo spettacolo qui e non in uno spazio ufficiale, anche perché il pubblico di stasera è molto giovane.
In teatro sarebbero venuti solo vecchi e gente impellicciata. Fare «Vendetta» in uno spazio autogestito per me è un messaggio ulteriore: il contesto è importante.
A te piace «sporcare» il pubblico. Vuoi dire che l’indignazione non basta?
È un messaggio fondamentale: quando sei seduto a vedere la tv sei passivo, non ti sporcherai mai! Per me, invece, una delle cose più rivoluzionarie è coinvolgere il pubblico, fargli vivere realmente delle emozioni. Come la paura: quando io giro per il pubblico con le forbici per tagliare via i loghi delle marche dagli indumenti, c’è gente che cerca di nascondersi! Siamo in un’epoca in cui siamo sommersi dall’informazione, ma si tratta di qualcosa che non ci tocca fino in fondo; sono in pochi a vivere concretamente, da protagonisti, le informazioni, e ad agire. Nei miei spettacoli cerco di obbligare la gente ad essere protagonista anche se non vuole: faccio delle cose e loro devono reagire per forza. Anche questo è un messaggio, che sta non in ciò che dico, ma in ciò che provoco.
Sei stato in paesi senza libertà d’espressione. Che differenza c’è, per il buffone, rispetto all’Europa?
Le cose cambiano secondo i livelli di censura. Ho lavorato in paesi sotto il regime sovietico, ma anche in Cina e in Pakistan. Una parola di troppo e rischiavo di essere arrestato. Tuttavia, in queste situazioni, si può lavorare arrivando al limite, con allusioni che il pubblico coglie al volo. Così puoi dire molte cose senza dirle esplicitamente. È un lavoro sottile, stimolante, perché hai davanti un pubblico molto attento.
Da noi, invece, la dittatura passa per altri canali. Sembra che puoi dire ciò che vuoi, e in parte è così. Il vero lavoro è svegliare il pubblico, che si è lasciato andare. Ma non vuol dire che sia del tutto rimbecillito: quando si imbatte in qualcosa di diverso dalla solita offerta, è contento.
Il problema nei nostri paesi è capire dov’è il «nemico». Non è più il potere politico, la destra o la sinistra, ma chi gestisce l’informazione, o gli interessi delle multinazionali. Se insisti su questi punti, spesso incappi in una censura peggiore di quella sovietica. Certo, non si rischia la morte, ma spesso di certe cose non si può parlare.
Nel mio spettacolo attacco la Coca-Cola: questo in tv non si può fare, perché la Coca-Cola è un marchio. E il pubblico, stupido, accetta questa logica. Quello è un marchio, ma io sono un comico! E un comico ha il diritto di toccare tutto. Tutte le società hanno bisognodi contraddizione, e il comico ha proprio questo ruolo. È sano per la società che qualcuno dica una cosa e un altro la critichi.
In Spagna, prima delle elezioni, ho organizzato dei tour: i «viaggi al peggio di Madrid». L’idea era di portare la gente a vedere scandali invece che monumenti. Quanto vengono pagati i politici? In quali case vivono? Siamo andati nei campi da golf e nei ristoranti di lusso, dove un pranzo costa 200 euro. Siamo andati a bussare alla porta del primo ministro a chiedere quanto costa la sua abitazione. Così la gente si rende conto in concreto cosa significa il potere, che tipo di atteggiamento hanno queste persone e se vale la pena votarle.
Alla fine, i socialisti hanno vinto, ma non certo per il mio lavoro. La gente si è incazzata per le bombe dell’11 marzo e ha messo l’accento sulla partecipazione della Spagna nel conflitto iracheno. Sono stato contento di questo risultato, perché la gente è riuscita a cambiare le cose.
Dove andresti con i Bassibus in Italia?
Si potrebbe andare in gita ad Arcore, a vedere come vive Berlusconi, oppure sulla Costa Smeralda. E poi possiamo osare, organizzando azioni pacifiche che disturbano il potere e rovesciano la rappresentazione della realtà che ci impone. Noi lo abbiamo fatto: siamo arrivati con l’autobus a un meeting con Aznar, con un impianto di amplificazione molto più potente del loro. Così abbiamo fatto sentire registrazioni di Aznar di un anno prima in cui assicurava gli spagnoli che l’Iraq possedeva pericolose armi di distruzione di massa, e perciò era una minaccia per la pace mondiale. Bisogna cercare di fare queste cose, perché il potere è più debole di quello che sembra. Non serve scontarsi frontalmente, ma trovare delle crepe e sfruttarle.
[da Carta n°16/2004]